Unesco e Pavia longobarda il gran rifiuto. Tra veleni e repliche, i veri motivi.
Dopo quattro lunghi anni di sopralluoghi, convegni e tempo speso a stilare l’elenco dei siti di ''Italia Langobardorum - I Longobardi in Italia - I luoghi del potere (568-774 d. C)'', nel giugno 2011 l’Unesco ha emesso il verdetto finale: Brescia, Cividale del Friuli, Castelseprio - Torba (Va), Spoleto (Pg), Campello sul Clitunno (Pg), Benevento e Monte Sant’Angelo (Fg) sono i siti dell’attuale rete longobarda, definitivamente inclusi tra i beni riconosciuti a livello mondiale come Patrimonio dell’Umanità.
E Pavia, invece? L’esclusione della città che fu capitale del regno longobardo d’Italia per oltre due secoli ha causato polemiche a non finire.
I più si saranno chiesti, quali furono i veri motivi del “gran rifiuto”? Guido Manuel, referente Unesco per il Ministero dei Beni Culturali, recatosi a Pavia nel 2008 in cerca di presenze longobarde, dichiarò che la città aveva una forte memoria storica, ma poche testimonianze monumentali della dominazione longobarda. Niente di più falso.
In seguito allo sciagurato sopralluogo quattro stupende cripte pavesi d’età longobarda, Santa Maria alle Caccie, Sant'Eusebio, San Giovanni Domnarum e San Felice (di cui sopravvive perfino la chiesa) erano già state irrimediabilmente depennate. Guido Manuel diede ad intendere che Pavia, per risollevarsi, avrebbe dovuto puntare sul patrimonio romanico, più noto e visibile di quello longobardo.
Gli addetti ai lavori e i cittadini non hanno mai preso bene quella decisione che, di fatto, declassava la “capitale barbarica” per eccellenza al rango di Cenerentola snobbata. In molti (perfino i monzesi, esclusi pur possedendo il tesoro della corona Ferrea) si incattivirono perfino verso Brescia e Varese, chiedendosi cosa avessero in più rispetto a Pavia.
Ad oggi la ferita resta ancora aperta. Per capire la realtà dei fatti occorre sfatare luoghi comuni e analizzare la situazione attuale. In primis, Varese e Brescia hanno superato l’esame, e per giunta con lode: le suddette province negli anni passati hanno investito moltissimo per raggiungere l’ambita meta. L’antichissimo castelliere di Castelseprio - Torba (Va), forte di affreschi che non hanno precedenti in tutta Europa, è intoccabile; il complesso bresciano di Santa Giulia, invece, con la basilica di San Salvatore e i musei annessi, è una città nella città dotata d’infrastrutture ultramoderne: un modello virtuoso.
Gli ispettori del Ministero Italiano, convocati a Pavia una seconda volta, bocciarono nuovamente i beni proposti: A differenza di monumenti e paesaggi facilmente accessibili e fruibili le cripte, “siti sotterranei poco visibili e reperti museali”, dicevano, “all’Unesco non interessano.” Eppure, lo stesso referente Unesco Emanuel intervenne poco dopo, chiarendo che i monumenti non devono per forza essere al di sopra il livello del terreno. Il problema delle cripte pavesi, dunque, non sarebbe di natura logistica.
Forse la verità è che Pavia, nel 2008, di fronte alla visita degli ispettori Unesco si fece trovare effettivamente impreparata. Il risultato dei sopralluoghi confermò che i monumenti longobardi della città erano maltenuti e inaccessibili.
Ecco perché il sindaco Alessandro Cattaneo, in carica dal 2009, ha scaricato buona parte delle colpe sull’operato della giunta precedente. Da parte sua il presidente della Provincia Daniele Bosone, dopo aver messo in risalto il ruolo di altri prestigiosi siti della provincia (il complesso di Lomello), ha valutato seriamente la possibilità di appellarsi nuovamente al ministero e all’Unesco, senza peraltro aver mai ottenuto risposte. Brescia, nel frattempo, ha già mostrato solidarietà verso le città escluse, proponendo collaborazioni per eventi futuri anche in vista di Expo 2015.
Preso atto della situazione, in questi anni Pavia ha sviluppato un piano b: lavorare sulla nuova tipologia degli itinerari culturali, rilanciando il turismo religioso e la città romanica, in virtù della via Francigena che la attraversa e delle testimonianze legate a Sant’Agostino e all’infanzia di san Martino in Tours.
Per concludere, la colpa sarebbe da addebitare sia agli ispettori incompetenti e contraddittori, sia delle reciproche incomprensioni tra Giunta e Soprintendenza. Ad oggi, frattanto, le cripte sono ancora chiuse al pubblico e maltenute (vd. foto a destra), a meno di non contattare la Soprintendenza con giorni d’anticipo.
La basilica ipogea di Santa Maria Teodote e l’abside di San Marino, peraltro mai proposte, sono anch’esse inaccessibili: la prima è sede del seminario vescovile, la seconda di una scuola elementare.
Morale della storia: chi è causa del suo mal pianga se stesso. Forse siamo rimasti ai tempi dei gran tour ottocenteschi, quando i “ruderi” erano oggetto esclusivo di studio da parte di arditi pionieri stranieri. Probabilmente i tesori nascosti di questo Paese sono destinati a restare sminuiti, o celati per sempre.
Eppure, non tutto quadra: l'Unesco avrebbe dovuto sovvenzionare le cripte "prima" e non dopo i sopralluoghi. Forse che il denaro necessario sia finito nelle casse di qualche altro comune di certo meno abbiente, rientrato poi nella rete "Italia Langobardorum"? Il mistero continua.
Marco Corrias
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