La famiglia Alt, vittime delle leggi razziali a Pavia
La famiglia Alt, una storia dalla Pavia degli anni Trenta, che racconta il mondo degli ebrei di quel periodo…
Giovanni, Carolina e Bruno Alt erano tre ebrei di Trieste, che furono vittime delle leggi razziali a Pavia, dove si erano trasferiti a vivere e li, nel 1938, furono duramente colpiti dai provvedimenti antiebraici emanati da Benito Mussolini.
Da trieste a Pavia
Bruno era nato a Budapest durante uno dei viaggi di Giovanni e Carolina, che risiedevano a Trieste ma viaggiavano spesso per il lavoro di impiegato assicurativo del signor Alt , erano una tipica famiglia mitteleuropea, il cui destino venne segnato dalla fine dell’impero austriaco e del sorgere dei totalitarismi.
Se Giovanni era un austriaco, che dopo la Grande guerra aveva ottenuto la cittadinanza italiana, Carolina Tolentino era nata a Spalato, città dalmata con una forte comunità italiana, appartenuta prima all’Impero e poi al Regno di Jugoslavia.
Dal matrimonio di Giovanni e Carolina nacque Bruno, che nel 1938 aveva 22 anni e stava per finire gli studi di medicina a Pavia, dove i genitori si erano trasferiti quattro anni prima per seguire il figlio.
Gli Alt vivevano in un apertamente sopra quello che era il bar Piave, tra viale Vittorio Emanuele e piazza della Stazione, e avevano stretto amicizia con una vicina di casa, Iside Cattaneo.
Fin da piccolo Bruno sognava di lavorare in un ospedale e cominciò a fare carriera rapidamente, grazie alla carenza di medici causata dallo scoppio del secondo conflitto mondiale.
Ma le leggi razziali impedirono a Bruno di continuare la sua carriera di promettente medico del policlinico San Matteo di Pavia e il giovane rimase incredulo, quando lesse sulla Provincia Pavese le parole pronunciate dal Duce davanti a una folla esultante in piazza Unità.
Per mesi, dopo quel 18 settembre, gli Alt cercarono di convincersi che i provvedimenti amministrativi e legislativi annunciati dal governo non sarebbero stati operativi, poi la famiglia dovette denunciarsi al censimento del 1938 e Bruno perse la cittadinanza italiana il 1 febbraio 1939.
Il giovane sperava che i nuovi provvedimenti sarebbero state presto annullati, ma non avvenne nulla e Bruno cadde nel terrore di essere deportato, anche se continuava a lavorare nel reparto di patologia medica di Pavia.
Alla fine il giovane Alt fu definitivamente allontanato dall’ospedale, dal momento che era vietato agli ebrei il lavoro negli enti pubblici, fu il colpo di grazia, per un ragazzo già provato nello spirito e nel fisico per l’ingiustizia subita.
Il destino degli Alt
Il 5 settembre 1943, una volta che ebbe accompagnato alla stazione la madre diretta a Trieste per trovare i parenti, Bruno fu colto da violente convulsioni e morì il giorno dopo, l’autopsia non fu mai effettuata, ma con ogni probabilità il ragazzo si era ucciso con del veleno, che causò una necrosi delle cellule del fegato, come conferma il referto del dottore che lo ebbe in cura sule cause del decesso.
La tragedia degli Alt non era finita, infatti un anno dopo, con la nascita della Repubblica di Salò, Giovanni e Carolina furono arrestati a Pavia.
Tuttavia la signora Alt che soffriva di una grave forma di artrite, che portò al suo ricovero in un ospedale a Monza, dove un medico ne impedì il trasferimento per mesi, in seguito venne destinata al lager di Bolzano, ma poco tempo dopo la guerra finì e così poté tornare a Pavia.
Invece Giovanni fu subito mandato nel campo di concentramento di Fossoli e da qui finì ad Auschwitz, dove morì in circostanze mai chiarite.
Carolina continuò a vivere a Pavia, ma il dolore per la perdita dei suoi cari la perseguitò fino alla fine, inoltre aveva saputo che le sue sorelle, rimaste in Friuli, erano state uccise dai tedeschi a Trieste.
Oggi l’archivio storico di Pavia conserva non solo la testimonianza di Carolina, la cui tomba si trova a San Giovannino accanto a quella del figlio, ma anche i ritratti degli Alt, parte di una piccola storia della Pavia del fascismo.