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Tommaso Besozzi un cronista di razza

  • Paola Montonati

“Di sicuro c’e solo che è morto” cosi titolò il suo articolo sulla morte di Salvatore Giuliano.

Nato a Vigevano il 20 gennaio 1903, Tommaso “Tom” Besozzi era il quarto figlio di Ludovico e Maria Garbertini, una delle famiglie benestanti più importanti della Vigevano di allora, che diedero i natali anche a Martino, uno dei primi socialisti vigevanesi e a Carlo, che mori da eroe durante la I guerra mondiale combattendo a fianco degli Alpini.

Fin da giovanissimo Tommaso rimase affascinato dalla vita libera e selvaggia che si conduceva nelle campagne lomelline di allora, che lascio in lui dei segni indelebili che possiamo ritrovare in tutto il suo lavoro giornalistico.
Nel 1926 Besozzi entro a far parte della redazione del Corriere della Sera, dove lavoro per tre anni fino a quando nel 1929 se ne andò per collaborare con la rivista Sole, ma circa dieci mesi dopo fece ritorno in via Solferino, dove rimase fino al 1940, quando comincerà a lavorare per l’Europeo di Gianni Mazzocchi.

Besozzi si dimostra fin da subito un giornalista che non fa sconti con nessuno, neanche con se stesso.
Fu il primo a denunciare il trafugamento del corpo di Mussolini, portando alla luce le negligenze degli italiani di fronte all’efficienza inglese, mentre nel 1946 denunciò che la rivolta dei carcerati a San Vittore era stata facilitata anche dalla scarsa organizzazione delle guardie carcerarie.
Nello stesso anno si occupo del caso di Rina Fort e pubblicò sull’Espresso il racconto “L’asina di Nimis” sulla storia autobiografica di un uomo che viaggia dal Friuli fino alla Lombardia per aiutare un amico in difficoltà.

Ma il suo scoop più sensazionale fu quello sulla morte di Salvatore Giuliano.
Nel luglio del 1950 esce sull’Espresso un articolo intitolato “Di sicuro c’e solo che è morto” in cui Tom smonta pezzo per pezzo la versione ufficiale dei carabinieri sulla morte di Giuliano, ucciso in un conflitto a fuoco.
Dopo lunghe indagini Besozzi dimostrò che Giuliano era stato ucciso dal suo amico e luogotenente Gaetano Pisciotta, che era stato lautamente pagato dalla polizia per tradirlo.
Il grande successo dell’inchiesta condusse Tom in Africa, dove si interessò alla vita dei coloni italiani che vi erano immigrati giovanissimi, e in Francia, dove conobbe e intervistò Georges Simenon e Jean Gabin.
Gli ultimi anni di vita di Besozzi furono difficili, in quanto era ormai tormentato da una depressione sempre più profonda che gli impedì di scrivere come un tempo, al punto che passo da una redazione all’altra in cerca di un nuovo punto di riferimento.
Il 18 novembre 1964, nella sua casa di Roma, Tom pose fine alla sua vita con un marchingegno che aveva costruito con le sue stesse mani.

Paola Montonati

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