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Processo Eternit. Giustizia per chi?

  • Paola Montonati

eternit 1Ieri pomeriggio una gran folla di uomini e donne sotto le finestre della Corte di Cassazione di Roma ha assistito all’ultimo atto del processo che ha coinvolto la Eternit, una delle aziende impegnate nella lavorazione dell’amianto, diretta dall’imprenditore svizzero Stephan Schimdheiny.

La sentenza finale ha visto l’imprenditore svizzero, nella rabbia e nell’incredulità generale, essere assolto perché il reato ormai è caduto in proscrizione, secondo i giudici della Corte di Appello di Roma.

“Prima di morire vorrei incontrare Stephan Schimdheiny. Tanto non mordo” aveva detto pochi giorni fa Romana Blasotti Pavese, che una settimana fa ha ricevuto il titolo di commendatore e per il mesotelioma pleurico provocato da quelle polveri maledette ha perso in pochissimi anni tutta la sua famiglia, dal marito fino alla cugina “vorrei solo potergli dire alcune cose. Per favore, fategli sapere che vorrei davvero incontrarlo”.

Anche a Casale e Alessandria la delusione è stata davvero enorme, soprattutto dopo le speranze che si erano riaccese solo un anno fa, quando la Eternit era stata condannata nel processo di appello a Torino. 

Tutto ebbe inizio nel 1907, quando a Casale fu aperto lo stabilimento Eternit, impegnato nella lavorazione dell’amianto.

eternit 2Per anni i bambini hanno giocato con le polveri che derivavano dalla lavorazione del pericoloso materiale, tanto che venne creata una piccola spiaggia artificiale presso un’area del Po che divenne un punto di riferimento della comunità locale.

Ma “Stephan Schmidheiny” dicono i giudici d’Appello nella sentenza del 3 giugno 2013 “utilizzò il seminario di Neuss del 1976 per impedire che i numerosi settori delle collettività ancora interessati a utilizzare i manufatti di cemento-amianto divenissero pienamente consapevoli dell’elevata nocività delle fibre sprigionate da quel materiale e pretendessero degli interventi che, se eseguiti, avrebbero reso di fatto impossibile e comunque troppo oneroso l’esercizio delle attività produttive. A questo fine egli aveva ideato di realizzare un’opera di disinformazione diretta a creare l’erronea convinzione che sarebbe stato sufficiente rispettare i «valori limite di soglia» (peraltro indicati in modo inappropriato anche in relazione alle conoscenze già allora disponibili e mai veramente perseguiti con atti coerenti) per garantire la sicurezza dei luoghi di lavoro e delle aree a essi vicine”e, infatti “trascorsero quasi dieci anni da allora, fino a quando non fu più possibile nascondere la pericolosità delle fibre di amianto e gli stabilimenti furono costretti a chiudere. Il fenomeno epidemico si è così dilatato nel tempo con modalità che inducono a concludere come l’evento disastro non sia ancora consumato per intero”.

Nel 2004 la procura di Torino aprì un’inchiesta allo scopo di verificare le cause della morte di un operaio della Eternit, inchiesta che in poco tempo si allargò a un gran numero di casi sospetti, tutti legati in qualche modo all’amianto di quella fabbrica.

Solo nel 2009 furono rinviati a giudizio Stephan Schimdheiny e il barone belga Louis De Cartier, che erano i capi della multinazionale, per disastro doloso ambientale e il 9 dicembre di quello stesso anno iniziò il processo a Torino.

Nel 2012 i due imputati vennero condannati a 16 anni di reclusione, ma il 14 febbraio 2013 iniziò a Torino il processo di Appello, che vide il solo Stephan Schimdheiny condannato da 18 anni di reclusione, dato che De Cartier era morto poche settimane prima.

E’ stato spiegato che l’imputazione di questo processo era limitata ai danni ambientali, ma intanto sono morte circa 3000 persone, che non sono un numero, ma tante vite, tante famiglie, tanto dolore.

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