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Vigevano ancora leader nel mondo delle calzature

  • Paola Montonati

scarpe 1In un mondo dove da ogni parte provengono segnali di crisi economica, con molte aziende in cassa integrazione o costrette a chiudere, è davvero un sospiro di sollievo vedere che l’Italia continua a mantenere una posizione solida come punta di diamante del mercato calzaturiero mondiale.

Un primato davvero invidiabile, come dimostra la recentissima top ten dei produttori di scarpe in Europa, dove l’Italia è al primo posto con 202 milioni di paia, mentre al secondo troviamo la Spagna con 92 milioni e il Portogallo con 75.5 milioni, mentre nella classifica della top ten dei produttori mondiali di scarpe in volume l’Italia è al decimo posto.

E notizie ancora più belle arrivano dal settore dell’export, dove gli italiani giocano un ruolo di primo piano.

Nella classifica degli export in volume l’Italia è al secondo posto con un fatturato di 10 miliardi e 700 milioni di euro, mentre al primo posto c’è la Cina con 48 miliardi di dollari.

Ma il vero primato dell’Italia è quello relativo al prezzo medio delle scarpe vendute in tutto il mondo, infatti, all’estero un paio di scarpe made in Italy viene venduto al prezzo di 48,78 dollari, mentre in Cina il costo è solo di 4,55 dollari.

Tutto questo, secondo i responsabili di Assocalzaturifici Italia, deriva dal fatto che da sempre i paesi dell’Unione Europea prendono come riferimento il mercato comunitario, ma la situazione di stagnazione del consumo di scarpe nell’Unione ha spinto gli operatori alla ricerca di nuove quote di mercato in quei paesi lontani dall’Europa, che negli ultimi anni sono stati al centro di un notevole aumento delle vendite, portando nel 2013 a un fatturato di 8 miliardi di euro e anche alla rimonta di Germania, Belgio e Olanda.

E adesso?

Secondo l’Assocalzaturifici Italia, il trend del 2014 vede le esportazioni dei calzaturifici europei verso gli Stati Uniti con un trend positivo del +12 sia nel volume sia in valore, mentre anche quelle in Turchia sono aumentate in valore del 20 per cento e in Russia, a causa dell’embargo di Putin, sono purtroppo diminuite fino a arrivare al – 14 per cento.  

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