Una storia antica: ospitare i più poveri a Pavia
Due storie, che vengono dalla Pavia di un tempo, accomunate dal desiderio di aiutare i più poveri.
Via Lunga è una delle strade più popolari di Pavia, un tempo chiamata Contrada Lunga e poi soprannominata Stretta Lunga, con a metà strada una Madonna dipinta sul muro, veneratissima dal popolo, che accorreva a pregarla e ne otteneva grazie, finché il proprietario della casa la sottrasse allo sguardo del pubblico chiudendola in un’edicoletta con i battenti.
A pochi passi dalla Madonnina sorge l’edificio che un tempo ospitava la Mensa Popolare e il Dormitorio Pubblico, dove molti vagabondi si recavano per un pasto e un letto caldo.
La Mensa Popolare e il Dormitorio Pubblico di via Lunga, negli anni Cinquanta del secolo scorso, erano gestiti dall’Ente Comunale di Assistenza, che dal 1937 aveva lo scopo di assistere gli individui e le famiglie che si trovavano in condizioni di particolare necessità.
A mezzogiorno, durante la distribuzione della minestra, c’era un pentolone formidabile, dove era sparso sui grossi maccheroni un intingolo veramente unico e dal quale si alzava nel vano un aroma ricostituente.
In mezzo alla cucina ampia si trovava una stufa pulitissima e ordinatissima, oltre alla dispensa, un luogo di conservazione per le verdure, grandi acquai tersi e moderni, mentre le stoviglie erano candide e le posate di acciaio cromato.
Durante il dopo guerra, si presentavano giornalmente agli sportelli della cucina circa duecento persone, che ritiravano duecento o più razioni, da consumare sul posto o da portare a casa con il buon pentolino fumante di alluminio.
Dei duecento utenti, la stragrande maggioranza era sostenuta dall’ECA ed era in possesso di un buono che doveva presentare allo sportello, poi ritirava il piatto e poteva decidere di stare o di andare.
Le duecento razioni erano suscettibili di aumento fino a raddoppiare con i pungenti freddi invernali, quando l’ECA intensificava il suo programma di assistenza e aggiungeva il secondo, di carne e verdura o pesce conservato, o insaccati, per la somma di 75 lire.
Al Dormitorio Pubblico venivano ospitate ogni notte cinquanta persone circa e, al cominciare dei primi freddi, con 25 lire gli ospiti potevano godere del tepore di una grande stufa a fuoco continuo e di due confortevoli materassi, uno di crine e uno di gomma-piuma.
Un’opera silenziosa di carità si svolge ancora oggi presso il Convento dei Frati di Canepanova, nata da un desiderio dei Padri e una promessa da parte del Cavaliere del Lavoro Achille Invernizzi.
Nell’ultimo inverno di guerra un pavese accompagnò il Cavalier Invernizzi al convento, dove la principale preoccupazione assillante era di non interrompere la continua distribuzione della minestra, e non era facile perché i poveri bussavano senza tessere, più numerosi e più bisognosi che mai, mentre le difficoltà di procurarsi gli alimenti potevano essere superate a fatica.
Fu durante quella visita invernale al Convento che Achille Invernizzi promise di esaudire, a guerra finita, il desiderio dei Fratelli di aiutare i più poveri, ma morì prima di vedere i lavori completati.
All’esterno, sul frontale della finestra, la scritta Deus caritas est ricorda il significato dell’opera cui sono ispirati anche due bassorilievi posti ai lati, dello scultore Prosperi di Assisi, raffiguranti l’uno San Antonio che dona il pane e l’altro San Francesco che predica agli uccelli.
Ma il ricordo di Achille Invernizzi è visibile non solo sulla parete del refettorio di Canepanova e su quello dell’Auxilium di Genova, infatti è anche presente nell’ospedale di Melzo e nella Casa dei Mutilatini al Piccolo Cottolengo Milanese, la prima in Italia realizzata dall’opera di don Carlo Gnocchi, un’ampia e moderna costruzione annessa all’immenso complesso del Piccolo Cottolengo nel cui atrio si trova il bassorilievo che ritrae il Cavalier Invernizzi.