Tra i vicoli di Pavia
Cesare Angelini in quell’itinerario spirituale che è Viaggio in Pavia dice dei vicoli pavesi “…Naturalmente molti sono stati soppressi con le nuove costruzioni, o modificati dal tempo; altri, interamente trasformati per ragioni d’igiene o, come si dice, di buon costume: buio fitto, vasi scaricati dalle finestre, donne facili, risse, era il meglio che vi si potesse trovare ancora ai primi del secolo, quand’ero ragazzetto e osavo avventurarmi nel vento dei vicoli …”.
Infatti, secondo Giacomo Franchi, i vicoli di Pavia erano per la maggior parte ingombri d’immondizia, tanto che le raccolte delle delibere comunali del Settecento ed anche dei primi decenni dell’Ottocento illustrano bene che molti erano gli appelli o le ingiunzioni agli abitanti della città di non scaricare vasi da notte dalle finestre, di non gettare immondezza d’ogni sorta nelle strade ed anche di rimuoverle quando vi si erano accantonate in modo esagerato.
Nel 1813 la situazione era diventata così grave che la Congregazione Municipale propose perfino di sopprimere ventinove vicoli per promuovere la pulizia della città e togliere possibilmente ogni ostacolo all’individuale sicurezza dei cittadini, poiché l’esperienza aveva dimostrato che la conformazione di quei vicoli favoriva il crimine locale.
Lo storico Padre Capsoni alla fine del Settecento aveva contato una sessantina di vicoli, ma la ricostruzione ideale della fitta rete di vicoli da cui era intrecciata Pavia forse non sarà mai possibile.
Alcuni di quei vicoli, esistenti o soppressi, ricordano vicende e tradizioni del popolo pavese o scorci della vecchia città.
Come il Vicolo del Senatore, che congiunge Corso Cavour a una piazzetta che si affaccia su via Menocchio e che un tempo era detta di Santa Tecla, da una chiesetta dedicata alla Santa, descritto da Angelini come “il re dei vicoli pavesi, per lunghezza e testimonianza storica. Tortuoso, pieno di curve e quindi imprevisto, fa pensare ad angoli di ghetto visti in altre città. Raramente vede il sole, tanto è stretto e le case sono fitte, addossate in un antico sodalizio parrocchiale. Si direbbe squallido, ma d’uno squallore aristocratico, specialmente in alcuni tratti, dove sono ancora segni di case gentilizie …A un certo punto si allarga e si rischiara in una specie di chiassólo, dove le mura hanno l’aspetto di una larga torre massiccia e sono, o possono essere, gli avanzi del monastero del Senatore”.
Altri vicoli incuriosiscono per la loro denominazione come il vicolo della Malora, che era la stradetta che un tempo collegava Piazza Italia all’attuale piazzetta Ferreri, si affaccia su viale Matteotti e si congiunge a Piazza Petrarca mediante un breve tratto.
Secondo una leggenda la denominazione di Malora trarrebbe origine da quando un nobile guelfo sorprese di notte in giardino propria figlia in dolce colloquio con un giovane di parte ghibellina e, aiutato dai servi, li uccise entrambi.
L’attuale via Morazzone, un tempo Contrada di San Guniforto, era indicata come vicolo di Volta Rabbiosa e nella parte alta terminava con un voltone angusto, come uno di quelli che ancora si trovano in città, che oscurava la via e rendeva quasi impossibile il transito sotto di esso.
L’aggettivo rabbiosa nasceva dalla caratteristica di essere un vicolo ripido e impervio, che divenne agibile solo dal 1816 quando fu demolito il voltone.
Tra i tanti vicoli che furono soppressi ci fu quello che partiva dalla Contrada di Borgo Freddo, ora via Gerolamo Miani, e andava a sboccare in contrada San Invenzio, ora via Severino Boezio, che era un “ricettacolo d’ogni immondizia et fetore” secondo un documento del 16 maggio 1582.
Dopo la chiusura del vicolo, il suo sbocco in via Boezio oggi è segnato da un portone chiuso della casa Pellegrini.