Rosmunda La sposa di Alboino
Il popolo dei Longobardi, che fu denominato così per le lunghe barbe o le spropositate alabarde, e che dette il loro nome alla Longobardia, la regione oggi conosciuta come la Lombardia, proveniva dalle desolate e gelide lande della Svezia.
Dall’aspetto robusto, gagliardi, biondi, pelosi, i membri di questo popolo indossavano stivali di cuoio e vesti di lino crudo, conducevano sempre con loro le donne, bambini e armenti alla ricerca di nuove terre, poiché erano un popolo di nomadi ignari di ogni forma di coltivazione e che viveva di allevamento, caccia, pesca e soprattutto di rapina.
Inoltre i Longobardi erano privi di codici, di morale, di diritto e di leggi scritte, avevano le loro credenze, usi e costumi, infatti adoravano il sole e la terra.
Dopo aver vissuto per anni nella Pannonia, l’attuale Ungheria, nel 568 partirono e, varcate le Alpi Giulie al passo del Predil, scesero in Italia con un gruppo di trecentomila persone, tra armenti, donne e bambini con la precisa intenzione di stabilirsi.
Il re Alboino occupò mezza Italia ed elesse come capitale Verona, e fu in quell’occasione che il Patriarca di Aquileia per sfuggire al nemico si rifugiò con il suo popolo nelle isole della laguna, dando il via alla lunga storia della repubblica di Venezia.
Ma tutto prima o poi ha una fine, infatti la leggenda dice che da giovane Alboino aveva nel corso di una battaglia ucciso Cunimondo, re dei Gepidi, un popolo che aveva incontrato sulla sua strada, e di cui aveva sposato la figlia Rosmunda, bella, procace e molto intelligente.
Ma quello non era un matrimonio d’amore, dato che nel cuore di Rosmunda covava un forte rancore per l’uccisione del padre, di cui Alboino conservava il cranio ripulito e levigato poi diventato una coppa, da cui il re attingeva abbondantemente nei lunghi banchetti di corte.
Nel 572 una sera si stava festeggiando Longino, Esarca di Ravenna, in visita a Verona presso le corte di Alboino, che chiese a Rosmunda il cranio di Cunimondo per festeggiare degnamente l’ospite.
Ma il re non si limitò a bere, anzi impose alla povera Rosmunda di bere dal teschio del padre.
Da quel momento Rosmunda tramò per uccidere il marito, con il suo amante Elmichi, fratellastro del re e, sapendo che Alboino si concedeva un sonnellino dopo le sue poderose libagioni, lo uccisero nel sonno.
Dopo il delitto, Rosmunda ed Elmichi fuggirono a Ravenna, presso l’Esarca Longino, portando con loro il tesoro reale.
Ma Longino, avido di denaro e di potere, propose alla regina di uccidere Elmichi, che in fondo non era altro che un personaggio di secondo piano, e di sposarlo per diventare la signora di Ravenna.
Rosmunda accettò la proposta e decise di uccidere Elmichi offrendogli una coppa di vino avvelenato ma questi, dopo aver bevuto alcuni sorsi, comprese ogni cosa, e, sfoderato la spada, chiese all’amante di tracannare il vino rimasto.
Il vino le fu fatale e Rosmunda morì con il suo amante.