Pavia La vecchia chiesetta sul Ponte Coperto
Nel pomeriggio di martedì 5 settembre 1944 un bombardamento aereo fece sprofondare nelle acque del Ticino la graziosa chiesetta che il popolo pavese aveva eretto sul Ponte Vecchio, esattamente due secoli prima.
La chiesetta, a forma esagonale, venne costruita sul Ponte Vecchio in corrispondenza dello sperone che stava dopo il quarto arco dalla città, a rinforzo del quinto pilone centrale, dove c’era il versante verso il Borgo Coperto e pochi metri più in là del vertice del ponte.
Il suo scopo era quello di poter ospitare la statua di San Giovanni Nepomuceno, patrono dei ponti, dei confessori, dei fiumi, dei viaggiatori sull’acqua e di tutte le persone in pericolo di annegamento.
All’interno della chiesa c’era l’altare di marmo ideato da Lorenzo Cassani, gli stucchi, opera pregevole di Ferroni, le eleganti finestre, in ferro battuto con copiosa ramificazione, disegnate da Carlo Repossi e forgiate dal ferraio Gian Battista Cassinone e due piccole cantorie, dove il 16 maggio, festa di S. Giovanni Nepomuceno, i musici della Cattedrale eseguivano buona musica nella soddisfazione generale.
Quando il fiume faceva qualche vittima la Campana degli annegati, posta sopra la chiesetta del ponte coperto di Pavia, chiamava a raccolta il popolo a pregare.
Se le ricerche dei primi giorni risultavano infruttuose, si deponeva sull’acqua un piatto di legno con sopra alcuni ceri accesi che la folla seguiva sulle opposte rive o sul fiume stesso con le barche, infatti si diceva che San Giovanni Nepomuceno sospingesse i lumini e li facesse fermare nel punto in cui la vittima era stata occultata dalle acque.
In un primo tempo la statua lignea del martire San Giovanni Nepomuceno fu esposta forse in una nicchia del muro del ponte vecchio, ma dopo il 1745 venne ospitata nella chiesetta.
Durante i bombardamenti del settembre del 1944, quando la chiesetta crollò nel fiume, la statua cadde in acqua e fu ritrovata a trecento metri a valle dal ponte.
Priva delle braccia, tutto sudicio e ferito, la statua venne subito lavata e pulita dalle donne borghigiane, poi fu collocata dai pescatori in una stanza a piano terra della Piasèta di via Milazzo.
La sera del 7 ottobre don Domenico Zucca vi condusse il Vescovo Carlo Allorio per una preghiera di ringraziamento e per incontrare le persone non sfollate.
Da allora in quella stanza il Dondo continuò per un po’ a incontrare la gente del Borgo Basso per una preghiera serale.
Al simulacro mancavano le braccia perdute nella brutta avventura, ma a rifargliele ci pensò uno degli scultori più conosciuti pavesi, Romolo Bianchi, che restaurò la statua nel suo laboratorio che sorgeva nei pressi della chiesa di San Marino.