Pavia capitale dei Longobardi. Una saga avvincente durata due secoli
Il trascorrere delle generazioni ha cristallizzato nel mito gli eventi della lunga avventura dei Longobardi dalle Alpi all'Italia. I winnili (combattenti, vincitori), come all'inizio essi stessi usavano definirsi, nel II secolo d. C erano solo una piccola e feroce tribù stanziata in Germania, nei pressi del fiume Elba. Nessuno avrebbe potuto immaginare che secoli dopo si sarebbero trasformati in un potente popolo, capace di organizzare in Italia un regno glorioso e longevo.
Dopo la caduta dell’impero Romano (476 d. C), sotto la guida del saggio re ostrogoto Teodorico iniziò il mezzo secolo di “regno romano-barbarico” in Italia (489-535), considerato dai contemporanei una vera età dell’oro, tanto più se confrontato con i sanguinosi intrighi degli ultimi decenni di dominio romano. L’antica Ticinum, nel frattempo divenuta “Papia” (forse “città del papa”, in quanto sede del primo vescovo ariano) privilegiata dall’edificazione di un palazzo reale, cessò di essere una cittadina romana come altre per assurgere al ruolo di sede stabile della corte ostrogota e del comando militare.
All’imperatore d’Oriente Giustiniano, privo di scrupoli benché cristianissimo, con la morte di Teodorico parve il momento ideale per riprendersi l’Occidente perduto. Sotto la guida dei due abili generali bizantini, Belisario e Narsete, scoppiò la terribile guerra greco-gotica (525-543): vent’anni di ruberie, massacri e pestilenze portarono Italia sull’orlo del collasso, senza contare le pesanti tassazioni postbelliche.
A quel punto i longobardi, già noti per la loro ferocia, (anch'essi avevano partecipato alla guerra come mercenari dei bizantini, appiccando fuoco a qualsiasi costruzione e violentando le donne rifugiatesi nei santuari) decisero di calare in Italia: tutto ebbe inizio con la migrazione dalla Pannonia, voluta da re Alboino. Senza contare che gli àvari, eredi degli unni, nell'antica Ungheria erano temibili vicini di casa, i Longobardi erano assai allettati dalla debolezza dell’Italia bizantina. 150.000 persone guidate da un nucleo da combattimento di circa 80.000 uomini, le “lunghe barbe” sbaragliarono eserciti di Gepidi e i Suebi per poi attraversare le Alpi friulane. Non si trattò di un’invasione, bensì di una vera e propria ondata migratoria.
Il papa interpretò l'invasione come un castigo divino. I barbari adoratori del dio guerriero Wotan (Odino), condotti dal capo clan Alboino, dapprima conquistarono Cividale del Friuli per poi marciare verso ovest, conquistando quasi interamente la pianura Padana: l’unico centro in grado di resistere all’orda per ben tre anni fu proprio Pavia (572); ma in quel lasso di tempo i Longobardi non rimasero ad aspettare, anzi: invasero la Toscana e si spinsero perfino in Francia, fino alla Borgogna.
Ucciso da una congiura ordita dalla celebre moglie Rosmunda (“bevi Rosmunda, dal teschio di tuo padre!” ci ricorda la tradizione) e dal fratellastro Elmichi, corrotti dai bizantini, Alboino non vide mai la fine della sua campagna militare. Col successivo avvelenamento di re Clefi (574) ebbe inizio l’età dell’interregnum o dei trentasei duchi: l’anarchia dei signori della guerra portò alla distruzione di chiese e città, all'uccisione dei preti e all'umiliazione delle donne.
La scelta di Autari, figlio di Clefi, come nuovo re riportò un parziale equilibrio tra longobardi: il popolo libero (arimanni = uomini liberi) si rivelò tollerante sotto il profilo religioso e non usò tassare i sudditi più del necessario: mai più di un terzo del raccolto, definito appunto “tertia”. Arroccati in città e accampamenti romani riadattati, i nuovi conquistatori respinsero a più riprese i Franchi, calati da nord nel 576 - 587 e 589, massacrandoli.
Fu così che i bellicosi longobardi occuparono il ruolo lasciato vacante dai civili ostrogoti. Presto l’antica Regio XI Transpadana divenne “Langobardia” (prima l'Italia, poi l’attuale Lombardia).
Nasce il regno dei Longobardi.
La società longobarda era basata su gerarchie: la nobiltà guerriera (duchi e arimanni, o uomini liberi) era un’élite che praticava la caccia e consumava carne, latte e formaggi in quantità, commerciando in bestiame, legname e derrate agricole. I prodotti esotici, in passato portati via mare, scomparvero quasi del tutto. Equipe di antropologi ungheresi hanno sostenuto, con analisi del sangue e studi delle ossa, che la nobiltà doveva essere costituita da uomini robusti, ben nutriti e dalla fisionomia nordica. I guerrieri, tra loro legati da un giuramento che precorse gli obblighi feudali, erano organizzati in farae, clan legati da rapporti di sangue. L’agricoltura, invece, era delegata agli skalks: la massa del popolo, costituita dai servi. A metà strada esistevano gli aldiones, o semiliberi. Tolleranti nei confronti della regione locale, i membri delle tribù conservavano ancora credenze pagane, legate al dio della guerra Wotan e alle altre divinità del pantheon germanico; talvolta i re, opportunisticamente, fingevano di abbracciare l’eresia ariana, variante cristiana nazionalistica e meno complessa di quella imperante a Oriente, nel tentativo di assicurarsi un’alleanza con Bisanzio. Il cristianesimo inteso in quanto tale avrebbe davvero assunto un ruolo preminente solo dopo il VII secolo.
Occupando terre un tempo romane, i longobardi le fortificarono, edificando capanne dalle fondamenta in pietra e alzato ligneo, di tipologia affine a quelle sassoni. Per quanto riguarda l’arte, i longobardi seppero esprimere fin dall’inizio una cultura figurativa di tipo geometrico - astratto, soprattutto attraverso il medium della metallurgia, per la quale furono sempre portati. Possiamo ricostruire le prime fasi di vita del regno longobardo soprattutto attraverso i corredi dei reperti tombali. Le sepolture maschili sono le più significative per quanto riguarda il corredo d’armi, dipendente dallo status del defunto: lance e scudi, spade lunghe, punte di freccia e speroni. Spesso veniva sepolto perfino il destriero, con riti pagani volti a rispecchiare il legame tra il combattente e la sua cavalcatura. Per le donne, dipendenti dagli uomini ma tutelate con grande rispetto, la ricchezza e la varietà della gioielleria erano emblematiche del loro status. Gli anelli a sigillo, le else di spada e le fibbie ad arco, ricche d’ornamentazioni geometrico-vegetali tipiche del gusto germanico, sono da annoverare tra i capolavori dell’oreficeria alto medievale.
Oltre alla metallurgia, i Longobardi nel tempo seppero sviluppare decorazioni a rilievo, su pietra e stucco: intrecci e grappoli d'uva, foglie e fiori, con la presenza di simboli oramai cristiani come colombe, pavoni, cervi e agnelli e occasionalmente creature richiamate dal folklore nordico come mostri e altri animali fantastici, che porteranno alla nascita della grande scultura romanica. Anche le tipiche crocette in lamina d'oro, da appuntare su mantelli e sudari, si datano agli inizi della cristianizzazione.
Sotto Alboino la prima capitale fu Verona (560), seguita da Milano, (590) antica sede romana imperiale con Agilulfo. Sua moglie, la celebre Teodolinda, stabilì la sua residenza privilegiata a Monza: Pavia divenne definitivamente capitale e sede delle incoronazioni dal 620 d. C., fino alla fine della dominazione.
Nel 590 d. C Papa Gregorio Magno, instancabilmente impegnato a cercare la pace con “gli odiatissimi longobardi” prese contatti con Teodolinda. Per quanto la sovrana si sforzasse di alimentare l’influenza cattolica a corte per via della pressione di papa Gregorio (che le inviava a corte lettere e preziosi regali) il mito della sovrana “cristianizzatrice” è da sfatare: il lento sforzo di convertire i longobardi si riflesse al massimo con l’identificazione di Odino nella figura dell’arcangelo Michele, particolarmente venerato in quanto guerriero. Ecco perché i longobardi rimasero quasi del tutto pagani e ariani per un altro secolo. Eppure, Teodolinda e re Agilulfo, suo sposo in seconde nozze (il suo primo marito era stato l’intraprendente Autari, avvelenato come il padre Clefi), supportarono il monastero più antico del Nord Italia: quello di Bobbio, fondato nel 614 dal celebre missionario irlandese san Colombano, cui concessero beni terrieri, scriptoria e biblioteche. Difatti, i primi amanuensi furono gli irlandesi e non certo i benedettini, stanziati nel Centro-Sud: all’inizio, col motto “hora et labora” i seguaci di San Benedetto, a differenza dei colombaniani, non avevano ancora contemplato lo studio e la trascrizione dei manoscritti antichi. Teodolinda e Agilulfo furono sepolti nella stessa tomba, ritrovata sotto il duomo di Monza.
Pavia capitale del regno.
La ripresa economica ricominciò tra il VII e VIII secolo. Sotto il re ariano Rotari (636-52), già duca di Brescia, nuove conquiste militari ampliarono i confini del regno, inglobando province bizantine, ormai isolate, della Liguria: i “romani d’Oriente,” avevano iniziato ad allentare la presa sull’Italia a causa di problematiche interne e scontri con la potenza musulmana emergente.
Proprio in quest’epoca sbocciò la fase gloriosa della storia architettonica di Pavia longobarda e la devozione dei suoi re. Da Rotari in poi i “maestri comacini”, abili artigiani itineranti, divennero sempre più dipendenti dalle committenze reali.
Pavia era suddivisa in quartieri diversi, a seconda dei gruppi etnici: nella città vecchia vivevano i vecchi abitanti celto-romani, detti “romanici”; nei quartieri orientali intorno al palazzo reale, detti “Faramannìa” si stanziò il ceto longobardo dominante .
Lo sviluppo di Ticinum - Papia nei due secoli del dominio longobardo può essere seguito attraverso le testimonianze e i resti delle sue fondazioni religiose: San Michele, allora cappella palatina destinata alle incoronazioni; Sant’Eusebio, duomo ariano voluto da Rotari (640); San Salvatore, fondata da re Ariperto fuori le mura (653-61); il cimitero longobardo, a nord, presso la distrutta S. Maria in Pertica fondata da Rodelinda (680). San Giovanni Domnarum, tuttora esistente, fu fondata a tutela di vedove e vergini; il monastero di Santa Maria Teodote, sotto le fondamenta del seminario Vescovile, eretta da re Cuniperto (688-700); San Pietro in Ciel d’Oro, restaurata da Liutprando tra 712 e 14, da sempre vicina al castello: senza scordarci di San Marino, voluta da Astolfo nel periodo 749-756 e di San Felice, prediletta dalla regina Ansa moglie di Desiderio, ultimo re dei longobardi. Gli edifici romani, ormai privi di utilità, furono distrutti, i loro materiali riutilizzati per erigere i suddetti cantieri: edifici che mostrano sia l’influenza dell’edilizia cattolica tardo romana, sulla scia di una ripresa economica, prodotta anche dalla cessazione delle ostilità con Bisanzio.
Dallo splendore alla caduta.
Il celebre editto di Rotari, redatto in latino nel 643 d. C, pose le basi scritte per rinnovare la stabilità e la sicurezza nel regno fissando diritti, divieti e pene per i trasgressori. In cima alla gerarchia stavano il re e la sua corte, situata a Pavia. Nel frattempo, i ducati longobardi del centro-sud (Spoleto e Benevento) andavano ritagliandosi una propria autonomia territoriale, che estesero a spese delle colonie marittime bizantine.
Il regno longobardo si convertì al cristianesimo solo grazie al “pavese” Liutprando, re illuminato (712-44 d. C). I matrimoni misti con i nativi, prima vietati, divennero all’ordine del giorno, e si inaugurò un epoca di relativa pace. Il nuovo sovrano, peraltro, muovendo contro l’esarcato bizantino di Ravenna e distruggendone il porto di Classe nel 720, non rinunciò mai alla politica espansionistica: tanto che il suo ambizioso successore Astolfo, che puntava alla conquista di tutta l’Italia, nel 752 espugnò Ravenna con l’intenzione di farne la nuova capitale longobarda. Forse per questo, nonostante le aperture verso Roma, (rappresentate dalla celebre Donazione di Sutri e da quella delle Alpi Cozie) Liutprando rimase temuto, al punto da considerarsi alla stregua di un nemico mortale.
L’isolamento dell’Esarcato e l’allontanamento religioso da Bisanzio, infatti, costrinsero Roma a chiedere aiuto altrove: ai Franchi. Su richiesta di papa Stefano II i carolingi di Pipino il Breve sconfissero Astolfo in val di Susa. Il tramonto della dinastia era prossimo.
Così giunse il turno dell’ultimo re, già dux di Tuscia, romanticamente immortalato da Alessandro Manzoni col figlio Adelchi: il lungimirante Desiderio, in cerca di alleanze, dopo aver stipulato contratti con i duchi del sud, sposò perfino sua figlia Ermengarda (in realtà Bertrada, o Desiderata) al nemico Carlo Magno.
Presto il celebre Franco, che ambiva a un programma di più ampio respiro, l’avrebbe ripudiata. Potendo disporre della cavalleria più forte dell’epoca, Carlo assalì i longobardi ed espugnò le loro fortezze (774 d. C). Desiderio si arrese e fu esiliato. Dopo due secoli, la forte Pavia fu nuovamente espugnata.
Frattanto a sud, Stati indipendenti come Benevento e l’illuminata Salerno continuarono a sopravvivere e a sviluppare cultura.
In verità l’influenza carolingia a nord, nel ricostituito Regno d’Italia, fu assai limitata: la politica di Carlo si puntellò sulla possibilità di lasciare ai duchi longobardi leali le proprie cariche, ripromettendosi di sostituirli solo alla loro morte. La tenacia dell’aristocrazia longobarda, poi fattasi “lombarda”, in realtà impedì una vera e propria dominazione, al punto che le culture dei vincitori e degli sconfitti, già imparentate (erano entrambe di ceppo germanico), col tempo si fusero: il periodo detto di “rinascenza carolingia”, che ebbe Milano come nuova capitale, sviluppò ulteriormente i fasti già inaugurati tra Pavia e Brescia da Liutprando e Desiderio.
(P.s: Un ringraziamento alla scuola di scherma antica "Fortebraccio Veregrense" per la concessione della foto n. 4.)
Marco Corrias