Pavia C’era una volta l’illuminazione pubblica a gas
Verso la metà dell’Ottocento, a Pavia venne installata l’illuminazione pubblica a gas e questa trasformazione costituì un grande progresso nei confronti di quella a olio e a petrolio dei precedenti impianti.
Fino ad allora, i fanali a colonna erano indispensabili nelle vaste piazze, mentre nelle strade vi erano i bracci di ghisa, a mensola, specialmente agli incroci, per servire a illuminare in più direzioni.
Il 24 aprile 1862 nacque l’Officina del Gas, con un forno per la distillazione del carbon fossile, magazzini per la materia prima, due gasometri in pietra e cemento della capacità di 1.200 metri cubi ciascuno.
Poco dopo venne posta la prima pietra del nascente gasometro i cui resti si possono ancora vedere a Porta Garibaldi, cui seguì la posa in opera delle prime tubazioni stradali, costituite da una rete di tubi in lamiera di ferro stagnato alla profondità media di un metro.
La Società appaltatrice Ricchini e Sartirana di Voghera dislocò i 500 lampioni originariamente preventivati nelle zone più frequentate della città.
Nell’autunno del 1863 il Comune decise di aumentare le lampade a gas e nel dicembre di quell’anno stipulò un contratto per dotare Pavia di altre 140 lampade.
Nel 1865 i lampioni a gas in servizio diventarono 677, per la maggior parte sporgenti dai muri degli edifici, mentre i rimanenti, nelle piazze e nei viali, erano montati su pali in ferro dell’altezza di 4 metri e 20 centimetri.
La distribuzione era effettuata da una Società privata, che alle 23 spegneva metà dei fanali, mettendo i pavesi a letto.
Esecutori di questo rigido regolamento erano gli accenditori, un gruppetto che provvedeva alle tre operazioni di accensione, di parziale riduzione notturna e di spegnimento.
Con la pertica sulle spalle, sormontata da una gabbietta metallica e con lo stoppino acceso, manovravano il rubinetto di ogni fanale per l’uscita del gas, per l’immediata accensione.
Nel 1865 gli accenditori erano 13 e badavano a 52 lampade percorrendo quotidianamente una distanza di circa 2300 metri che si doveva compiere in 20 minuti.
Verso la fine dell’Ottocento anche a Pavia si cominciò a parlare della diffusione della luce elettrica in Europa e in Italia.
Fu così che nel 1892 il Consiglio Comunale decise finalmente di dotare in via sperimentale Piazza Castello di lampade elettriche ad arco, in occasione dell’annuale Fiera d’agosto.
Da quell’anno e sin dopo la prima guerra mondiale, il comune diede la luce a Pavia, piazza per piazza, via per via, ma furono necessari anni per dotare l’intero abitato di lampade elettriche e per togliere definitivamente di mezzo i lampioni a gas.
In quel periodo la flessione di produzione di gas fu scarsa dato che fu molto lenta la sostituzione delle lampade a gas, ma a ciò fece riscontro l’aumento dell’impiego del gas per gli usi domestici e industriali.
Molti quartieri periferici della città furono illuminati a elettricità parecchi anni dopo il 1892, ad esempio il quartiere di San Pietro in Verzolo fu illuminato nel 1914/15.
La fine dell’illuminazione a gas avvenne nel 1916, quando la Società Anonima Cooperativa Pavese di elettricità Alessandro Volta, che forniva l’energia per la linea tranviaria interna, ottenne anche l’appalto dell’illuminazione dei principali corsi e piazze di Pavia.