Muto dell'accia al collo
Camminiamo lungo le vie della città. Passeggiamo, chiacchieriamo con amici e conoscenti, ci salutiamo e magari ci soffermiamo anche a guardare le vetrine dei negozi, ammirando le prossime collezioni in uscita.
Ma, forse, poche volte osserviamo. Ed è proprio nell’osservare le strade del nostro centro storico che dovremmo notare una via dal nome assai particolare: via del Muto dell’accia al collo.
Ma chi è costui?!? Da dove arriva? Ebbene, arriva da quel lontano, lontanissimo “C’era una volta”…
C’era una volta un giovane pescatore che aveva ricevuto in dono dal padre, il fiume Ticino, una rete magica in grado di tramutare i pesci pescati in pietre. Soltanto una volta arrivato a riva, dopo aver svuotato la rete, le pietre si ritrasformavano in pesci. E così, notte dopo notte, il ragazzo usciva a pescare nelle acque del fiume pavese.
Un giorno, però, il giovane incrociò lo sguardo di una fanciulla, figlia di un noto centurione romano. Inutile dire che i due si innamorarono perdutamente in un batter di ciglia. Ma, come accade in gran parte delle storie d’amore narrate, c’è sempre qualcuno a cui questo grande amore proprio non va giù…
Come poteva accettare la superba e malvagia matrigna che la sua figliastra si fosse innamorata di un semplice pescatorello!?! Giammai!
E così, una notte decise di seguire la ragazza per verificare se i suoi sospetti erano corretti e per porre definitivamente la parola fine a questa relazione tanto incresciosa. Indossò la toga del marito e si diresse verso il luogo in cui si erano dati appuntamento i due innamorati. Al momento opportuno saltò fuori dal suo nascondiglio per sorprendere sul fatto i due amanti; ma, poi, proprio proprio opportuno quel momento non fu. Almeno per lei! Infatti il giovane pescatore con un gesto fulmineo lanciò la sua rete magica sulla perfida donna che, trasformata istantaneamente in pietra, cadde a terra e, avvolgendosi la rete attorno al collo, rotolò nelle acque del fiume.
I due giovani allora, illuminati da una romantica luna, presero la barca e fuggirono insieme sulle acque del Ticino, che da buon padre decise di aiutare l’amato figliolo e la sua bella.
Il grande fiume, infatti, nascose ben bene la statua nella profondità delle sue acque e, tanto per andare sul sicuro, decise di corroderne le sembianze in modo tale che nessuno potesse più riconoscere in essa la donna che fu.
Secoli e secoli dopo - come spesso accade - qualcuno ripescò qualcosa dal fiume. Quel qualcosa fu proprio la nostra statua in questione! Ma, oramai, l’abito maschile (la toga), la bocca corrosa (muta) e quella rete avvolta al collo come una matassa (accia) resero pressoché impossibile il suo riconoscimento.
E fu così che a questa statua e alla sua bella leggenda venne intitolata una delle prime vie che da piazza Minerva incrociamo camminando lungo Corso Cavour.
Così, ora, quando arriveremo lì davanti e leggeremo quel nome - via del Muto dell’accia al collo - non potremo che ricordare col sorriso questa bella storiella e la statua che, fino al secolo scorso, era posta in essa.
Laura Marenghi