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Il Pavese tra le due guerre: La mietitura di giugno

  • Paola Montonati

mietitura giugnoNel Pavese, come in molte zone della campagna italiana, il mese di giugno coincideva con l’inizio della mietitura, molto atteso dai contadini….

E’a fine giugno, dopo la festa di San Giovanni, che i campi si tingono di un color giallo intenso ,che è il segnale che il grano è maturo e pronto per essere raccolto.

Nella tradizione contadina questo momento è carico di aspettative, perché giungeva al termine di un duro lavoro, e un tempo era anche un momento di festa.

La raccolta del grano e i covoni 

Fino agli anni Cinquanta, la raccolta del grano era un lavoro che coinvolgeva  uomini, donne e bambini, sempre  con un ruolo ben definito.

L’attività della mietitura durava dall’alba al tramonto e la fatica, sotto il sole cocente dell’estate, era tanta,  un primo gruppo procedeva per file ordinate a tagliare il grano a forza di braccia, con la falce affilata,  seguiva un altro gruppo, formato da donne e bambini: con il compito di raccogliere e legare le fascine con cui, infine, l’ultimo gruppo avrebbe formato i covoni.

I covoni erano formati con cura meticolosa, unendo mazzi di fascine ben ordinate e posizionate con le spighe verso l’esterno in modo che potessero prendere il sole e seccarsi, nel corso dei giorni successivi.

Le ragazze, oltre a dare una mano nel campo, dovevano portare ai lavoratori una buona merenda composta di ciambellone, acqua limonata e vino bianco, servita all’ombra di una quercia o di un grande gelso.

Al termine di questa attività i campi erano così ordinati da rivelare l’importanza, che era considerava sacrale, che veniva data alla raccolta del grano.

La trebbiatura e il pranzo sull'aia

Dopo una decina di giorni dalla raccolta c’era il momento della trebbiatura, i covoni venivano portati sull’aia e disposti a forma di barca, in modo che le fascine, una volta slegate, potessero essere inserite facilmente nella bocca della trebbiatrice, che lavorava le spighe dividendo i chicchi dalla paglia e dalla pula, raccogliendo i primi in grandi sacchi di iuta, mentre le donne ammucchiavano la paglia con lunghi forconi di legno.

Anche alla trebbiatura partecipavano un gran numero persone, che alla fine del duro lavoro si riunivano finalmente intorno alla tavola.

Il pranzo della trebbiatura  richiedeva numerose  ore di lavoro delle donne addette alla cucina, dato che il mezzadro doveva fare bella figura con i vicini che avevano aiutato nel lavoro sia con il proprietario del terreno e faceva portare a tavola carne, formaggi e buon vino della sua dispensa.

Per la pasta di questo evento veniva preparato un sugo d’oca o d’anatra e rigaglie di pollo, che veniva fatto bollire sul fuoco per ore, noto per essere un sugo molto sostanzioso che serviva per rinfrancare i lavoratori dalle fatiche dei giorni precedenti.

Nel menù non mancavano erbe di campo cotte, pomodori e cetrioli conditi con l’olio buono e l’oca arrosto,riservata al proprietario del campo e ai macchinisti, oltre a vari dolci e il caffè ammorbidito con un po’ di anice.

In questo momento conviviale molto atteso e gradito, condito di storielle e aneddoti, a volte si vedeva nascere nuovi amori.

Alla fine del pranzo il lavoro nei campi riprendeva fino al tramonto, poi  i macchinisti smontavano la trebbiatrice e partivano verso un’altra casa colonica, mentre le donne della famiglia rassettavano la cucina e gli uomini terminavano il lavoro sull’aia.

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