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Il fornaio nella Lomellina dell’Ottocento

  • Paola Montonati

fornaio 1Un antico detto lomellino diceva “Sant’Ambros, burat e cos” per indicare che il 7 dicembre, giorno di Sant’Ambrogio, era necessario attingere alla farina dal magazzino e preparare il pane per l’imminente inverno.

Era un rito antico, che fino alla seconda metà del Novecento scandiva la vita dei poveri contadini lomellini, sempre alla ricerca di qualcosa di utile per aiutare la loro famiglia in ogni stagione.

Dopo aver preparato la farina e cotto il pane, il tutto veniva portato al forno con le assi prestate dal fornaio, che percepiva dalla famiglia due soldi per ogni forma di pane.

Un ruolo notevole lo svolgevano le donne, che con un quintale di farina ricavavano 120 chili di pane, mentre i più ricchi compravano il pane direttamente dal fornaio.

Per risparmiare la farina, spesso i contadini facevano Al pan risin, un pane che era formato per metà da farina di riso, mentre la micca di grano pesava mezzo chilo.

Tantissime erano le tecniche usate dalle massaie lomelline per la cottura del pane, di cui erano vere e proprie maestre.

Inoltre in cucina si lavorava anche Al carsent, la pasta fermentata che simboleggiava il lievito naturale dei fornai.

Fino agli anni Venti, tutti i forni della Lomellina usavano ancora la legna per la cottura del pane, per poi negli anni Quaranta arrivare all’elettricità e al tramonto della gramula, la storica impastatrice a mano lomellina.

Tutto veniva usato per la cottura del pane, dalla brace fino alla carbonella, mentre il piano del forno era di tufo e veniva scolpito con uno squas a lisca.

Con la fine della seconda guerra mondiale e l’arrivo del lievito di birra, la maggior parte del lavoro del fornaio passò al mondo delle macchine, facendo perdere a tutto questo parte del suo fascino.

Ma ancora oggi molti lomellini si ricordano dei tempi in cui uomini e donne lavoravano insieme per preparare il pane, primo segnale dell’inizio di una nuova giornata. 

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