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Miti e leggende sulla Befana

  • Paola Montonati

befana leggende 1Una leggenda racconta che i Re Magi, mentre stavano seguendo la stella cometa, diretti verso Betlemme, con i loro preziosi doni per Gesù, videro scomparire improvvisamente la stella dal cielo.

Senza perdere la speranza, i Magi chiesero indicazioni a una vecchietta che mostrò loro la giusta direzione, la donna però si rifiutò di seguirli, ritornando alla sua abitazione.

In seguito, la vecchietta, pentitasi per non averli accompagnati, con un carico di dolci e leccornie si mise in cerca dei Magi e di Gesù e si calò nei camini di ogni casa incontrata sul suo cammino, lasciando i dolci più deliziosi per i bimbi che vi abitavano, nella speranza di visitare un giorno anche Gesù, ma invano. 

Da allora, la leggenda vuole che ogni anno, nella notte tra il 5 e il 6 gennaio, la vecchietta, oggi nota come la Befana, passi di casa in casa, portando dolci ai bambini, per farsi perdonare per non essere andata da Gesù con i Magi.

La Befana indossa un gonnellone scuro e ampio, un grembiule con le tasche, uno scialle, un fazzoletto o un cappellaccio in testa, un paio di ciabatte consunte, il tutto vivacizzato da numerose toppe colorate, quasi un look da strega, dove convivono elementi positivi e negativi, anche se alla fine prevale l’azione generosa e benevola della consegna dei doni.

Dal Nord verso il Sud, la Befana ha tanti nomi, da Frau Holle a Frau Berchta, in Germania, detta anche Perhetennacht, che volava su un carro, seguita da streghe, anime di bimbi morti ed elfi, fino alla strega Posterli, in Svizzera e Zusheweil, nel Tirolo, che erano sconfitte accendendo grandi fuochi e facendo gran frastuono di voci e di campanacci.

Il rito di bruciare la vecia aveva due significati, il primo è che nella bruttezza della vecchietta è racchiuso tutto il brutto dell’anno trascorso, mentre il fuoco su cui brucia e il vociare frastornante dei cori evocano la luce solare di cui si auspica il rapido ritorno dopo il solstizio invernale.

Un elemento peculiare della Befana è il carbone, che vuole essere un castigo e un monito, ma simboleggia anche l’energia presente nel ventre della Terra, il fuoco nascosto, pronto a rivivere, acceso dal primo sole primaverile.

In Italia la Befana ha vari soprannomi: Donnazza (Cadore), Pifania (Comasco), Marantega (Venezia), Berola (Treviso), Vecia (Mantova), Mara (Piacenza), Anguana (Ampezzano), Veggia Pasquetta (Varallo Sesia) e spesso la sua fine le vede portata in giro su un carro e poi bruciata in piazza, come capita in Toscana, Emilia Romagna e Ticino.

Per il mondo celtico e pagano, ma anche per gli antichi Romani, la Befana era Diana, dea lunare della vegetazione, o anche la divinità misteriosa di Satia, nome che deriva dal latino Satiaetas (sazietà), oppure Abùndia (dea dell’abbondanza). 

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