La grazia e la leggenda di Sant’Agnese
Ogni 21 gennaio si celebre il ricordo di Sant'Agnese, vergine e martire narrata da Jacopo da Varazze, un domenicano autore di vite dei santi vissuto nel XIII secolo, nella sua Legenda aurea.
Agnese era una tredicenne che, al tempo delle persecuzioni di Diocleziano, preferì il martirio al matrimonio con il figlio del Prefetto dell'Urbe.
Qualche tempo dopo Costantina, figlia dell'imperatore Costantino, recatasi a pregare sulla tomba della ragazza, ottiene la guarigione dalla lebbra, e in suo onore fece poi erigere la basilica sulla via Nomentana.
E grazie a questo miracolo, in un mondo sconvolto dalla peste e da epidemie, a Bagno di Romagna, nel cuore dell’Emilia, il nome di Agnese venne legato alle virtù taumaturgiche delle acque termali locali che, in modo questo miracoloso, curavano le malattie della pelle.
A Bagno il culto per la martire romana col tempo provocò la creazione di una Sant’Agnese locale, simbolo dei poteri taumaturgici delle acque termali, cui una serie di leggende fa risalire l'origine e la scoperta.
Secondo questi racconti Agnese, figlia di un nobile di Sarsina, fu promessa in sposa dal padre a un giovane pagano che lei, diventata in segreto cristiana, non voleva sposare, e cosi chiese a Dio di sfigurarle la bellezza con la lebbra.
Il padre accusò la ragazza di stregoneria e ordinò di condurla in una selva lontana da Sarsina e di ucciderla, ma i soldati che l'accompagnano la lasciarono libera, e come prova della sua morte portano al padre una veste imbrattata del sangue di un agnello.
Agnese vagò per le selve attorno a Bagno, fino a quando un cagnolino che aveva con sè, razzolando, fece scaturire le acque calde e salutari dove ella s'immerse uscendone sanata.
Fino a tutto il Quattrocento, Agnese di Bagno era la martire romana, come dimostrano dipinti e statue conservate nella basilica, che la raffigurano secondo l'iconografia canonica, in abiti secolari, con in mano una palma e con l'altra che sorregge un libro su cui poggia un agnello, simbolo del martirio e della purezza.
Poi intorno al 1480 l'antica pieve di Bagno fu elevata alla dignità abbaziale e l’abate Benedetto Tenaci da Pianetto cercò di dare un culto duraturo alle memorie della beata Giovanna di Bagno e anche a quelle dell'Agnese sarsinate, che da allora divenne una compagna di monastero dell'altra.
Anche se il rifiuto dei sarsinati rese vano questo tentativo, da allora la leggenda e la tradizione fanno risalire l'origine delle Terme di Bagno a una Sant’Agnese locale, raffigurata in abiti per monacali e secolari, con i gigli e, ai piedi, il cagnolino che fece zampillare le acque calde.
Dal tardo Quattrocento in poi i medici Ugolino da Montecatini, Michele Savonarola, Bartolomeo Taurinense, Mengo Blanchelli, Gentile da Foligno, Gabriele Falloppio, Andrea Bacci e scienziati come Antonio Targioni Tozzetti dissero che le acque termali di Bagno erano solo un fenomeno naturale e chimico, e ne razionalizzano la leggenda, che però conserva inalterate gentilezza e fascino.
Sempre nel giorno di Sant'Agnese è tradizione in Vaticano compiere la benedizione degli agnelli, che sono ornati con fiori bianchi in onore alla verginità della Santa e poi offerti al Papa per la creazione dei famosi palli, cioè i paramenti liturgici usati nella Chiesa cattolica, formati da una striscia di stoffa di lana bianca avvolta sulle spalle.
Dopo la benedizione, i due agnelli sono trasportati nel monastero delle benedettine di Santa Cecilia in Trastevere, dove ricevono ogni cura per essere tosati pochi giorni prima della Pasqua e usati per la tessitura dei palli, che il 29 giugno sono consegnati agli arcivescovi metropoliti, per la solennità dei santi Pietro e Paolo.