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L’arte del tessere nella Lomellina ottocentesca

  • Paola Montonati

lino 1Alla fine dell’Ottocento nei campi della Lomellina e del Pavese ovunque crescevano pianticelle del lino, con i loro fiori azzurri, che alla fine avevano una capsula contenenti i semi di color marrone lucido usato per ricavare il filato occorrente alla tessitura degli abiti e dei corredi da sposa.

E Al Lin, come lo chiamavano i medesi più vecchi, era davvero al centro dell’economia tessile lomellina, con le abilissime filatrici che lavoravano alla rocca nelle lunghe notti invernali, mentre i tissiu, i tessitori in dialetto lomellino, in ogni paese fabbricavano la tela con le varie matasse di lino oppure con la canapa coltivata o con la tela mista al cotone, come si faceva alla fine dell’Ottocento.

Dopo aver raccolto le varie piante di lino, si usava una speciale mazzuola per far cadere i semi del lino, da cui venivano estratti l’olio e la farina di semi di lino che serviva per curare alcune delle malattie più diffuse tra i contadini, con i cataplasmi.

Con la fine della trebbiatura, gli steli del lino erano lasciati a macerare nei corsi d’acqua per otto giorni, poi venivano asciugati in prati falciati da poco o nelle aie.

Una volta che gli steli erano ben asciutti, era prevista la gramolatura degli steli su un bancone con una speciale mazzetta e una lunga battitura con la spatola a tagliere per scotonare i canapuli e le filacce.

Terminata quest’operazione, seguiva la pettinatura delle fibre per dividerle l’una dalle altre e renderle parallele, dopo di che le fibre di lino erano ordinate in sottilissimi mazzetti destinati a essere filati con la rocca e il fuso.

Fin da piccole le bambine imparavano a lavorare il lino, prima con le mani e poi buttando nella roggia il primo filo di lino creato.

Dopo il lavoro con il fuso, il lino era ridotto in gomitoli e poi in varie matasse con l’arcolaio allo scopo di sbiancarlo in cinque o sei bucati, per poi essere consegnato ai tessitori sempre sotto forma di gomitoli.

Oltre al lavoro del tessitore, le varie famiglie chiedevano aiuto al tintore, per decidere il colore giusto delle matasse o della stessa tela.

Tra la fine dell’Ottocento e la prima guerra mondiale, Mede era al centro dell’artigianato delle tele di lino e canapa, che venivano usati anche per pizzi e merletti, oltre che per il tradizionale corredo da sposa.

Il quartiere medese dei tessitori era il Pasquà, dove c’era la famiglia Seva, che si tramandava l’arte della tessitura di padre in figlio.

Con la fine della prima guerra mondiale e la nascita delle grandi aziende, l’arte della tessitura cadde in declino, fino a scomparire poco prima della seconda guerra mondiale. 

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