Il Pavese tra le due guerre: Le mondine
Dai primi del Novecento e fino agli anni Sessanta l’autunno nelle campagne tra Pavia, Vercelli e Novara vedeva l’arrivo di migliaia di donne, le mondine, provenienti da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna per sostenere il lavoro delle abitanti del posto nei campi di riso.
La coltivazione del riso in Piemonte e in Italia venne introdotta, nel tardo Medioevo, per poi espandersi in tutte le pianure vercellesi e novaresi, attraverso opere di canalizzazione idraulica. Nell’Ottocento le mondine erano la vera e propria forza trainante delle risaie e queste instancabili lavoratrici stagionali erano una presenza ricorrente, prima della meccanizzazione dei lavori agricoli.
Queste donne arrivavano dai villaggi circostanti delle campagne, non solo per effettuare il trapianto delle piantine del riso, ma anche per eseguire la cosiddetta monda, cioè l’estirpazione delle erbe infestanti, durante il periodo dell’allagamento nei campi, prevista dalla fine di aprile sino agli inizi di giugno.
Anche se la condizione di lavoro di queste donne, che per 40 giorni lasciavano la famiglia per dedicarsi per molte ore al giorno al lavoro della monda, era faticosa, la vita che le attendeva tra le mura domestiche non era da meno, dato che provenivano da realtà economiche e sociali disagiate, spesso insostenibili.
Le mondine, con la loro instancabile energia e con i canti popolari intonati per cercare di rendere più leggero il lavoro, divennero i soggetti di documenti storici, oltre che di opere letterarie e cinematografiche, conquistando un posto nell’immaginario collettivo degli italiani.
Per poter svolgere il loro lavoro nel miglior modo possibile, le mondine adottarono un determinato metodo di lavoro, fatto di movimenti precisi e ripetitivi, oltre a uno specifico abbigliamento, per stare con i piedi immersi nell’acqua senza inzupparsi i vestiti.
Portavano un cappello in paglia dalle falde larghe e un fazzoletto annodato sotto al mento o avvolto attorno al collo, per proteggersi da punture di zanzare particolarmente presenti nelle risaie, così come dai raggi del sole, calze realizzate in cotone e gonne tirate sopra al ginocchio, poi sostituite da calzoncini corti arrotolati sulle cosce.
Il primo sciopero delle mondariso risale al 1883 e si tenne a Molinella, in provincia di Bologna e da qui partirono una serie di proteste che si protrassero per diversi anni e si estesero ai villaggi vicini.
Accanto a loro, scesero in sciopero anche altri lavoratori agrari per il limite della giornata lavorativa a nove ore, la corresponsione del salario in denaro contante e sorveglianti scelti dai lavoratori.
Nel 1906 il Vercellese fu il cuore di aspri scontri che videro le mondine e i braccianti scioperare per la riduzione dell'orari, aiutate dall'avvocato Modesto Cugnolio, consulente legale della Camera del Lavoro di Vercelli e attivista per i diritti delle mondine.
Il 1 giugno, alla fine di una giornata di forti tensioni che vide gli operai unirsi agli scioperanti, le trattative di Cugnolio si conclusero con questo annuncio «La giornata è fissata in 8 ore di lavoro». La questione divenne di grande attualità in tutto il Paese e in questo contesto che nacque uno dei canti di lotta più famosi, Le otto ore, che esordiva con queste parole: «Se otto ore/Vi sembran poche/Andate voi a lavorar» adeguato alla melodia di una canzone risorgimentale, La bandiera tricolore, e si trasmise di generazione in generazione, riadattato a seconda delle circostanze, cambiando qualche parola ma mantenendo il tema delle otto ore.
Fu solo nel 1912 che entrò in vigore per la prima volta nel regno d'Italia un regolamento che fissava ad otto le ore di lavoro giornaliere.
Nel secondo dopoguerra i cori delle mondine venne intonati in occasione delle feste paesane e dei festival contribuendo alla diffusione di una memoria popolare che fu l’oggetto di studio negli anni Sessanta da parte di gruppi di ricerca della canzone popolare come il Cantacronache e il Canzoniere delle lame.