I mille volti delle maschere di Milano
Oltre a Meneghino e Cecca, la storia delle maschere simbolo di Milano ha radici molto più antiche e complesse, che iniziano nel Seicento della dominazione spagnola, immortalato da Manzoni nel suo capolavoro I promessi sposi.
Prima di Meneghino, il simbolo del Carnevale milanese era Beltramm de Gaggian, che però non era la prima maschera del Teatro dell'arte, infatti era stato preceduto da Lapoff, un pierrot biancovestito di cui si hanno poche notizie.
Beltramm nacque nel XVI secolo quando si formarono le compagnie stabili ed era il servo un po’ tonto, buono e sempliciotto, da qui il detto Vess de Gaggian o Vess un Beltramm che indica in dialetto milanese una persona non troppo sveglia, come i bauscia de Milan, gli asnon de Barlassina, i goss de Bergum, e così via.
Fedele, saggio e di buone maniere, al contrario di Brighella, Beltramm aveva una moglie, Beltramina, arguta e scaltra, che spesso toglieva il marito da situazioni imbarazzanti.
Il suo costume prevedeva la maschera marrone, il berretto nero, la giacca, pantaloni e mantello, scarpe in pelle, cintura gialla, con le calze, il colletto e i polsini bianchi e nel XV e XVI secolo furono molti i cantastorie che adottarono la sua divisa.
Un grande interprete di Beltramm fu Niccolò Barbieri, che scrisse un trattato di moralità sul teatro con regole precise per gli attori, e spesso teneva le sue rappresentazioni nelle corti salendo sui banchi per essere visto da tutti, da qui il termine dialettale mont in banc o saltimbanco per indicare un attore comico.
Dopo Barbieri fu il grande Carlo Maria Maggi a dare notorietà a questo singolare personaggio, che spesso era affiancato a Meneghino, di cui fu l’ideatore.
Ideale successore di Beltramm, Meneghino era il servitore della domenica, che le dame milanesi di buon casato ma con pochi denari assoldavano per i ricevimenti della domenica o per non rinunciare alla passeggiata domenicale in carrozza, spesso affittata.
E quindi si pagava una persona che doveva svolgere le funzioni di servitore, maggiordomo, accompagnatore, ma anche di acconciatore e parrucchiere, infatti il cognome di Meneghino, Pecènna (parrucchiere/pettine) è molto esplicativo di questo lato del suo mestiere.
Spesso i servitori della domenica erano dei giovani dalla Brianza che con questo tipo di lavoro domenicale potevano arrotondare il loro magro salario e, per il giorno dell'ingaggio, vennero chiamati Domenichini che in dialetto suonò Domenighin poi abbreviato in Meneghin.
Con l’arrivo del teatro dei burattini Meneghino divenne un personaggio simbolo del popolo milanese e sul palcoscenico ebbe un ruolo fondamentale accanto a maschere come Brighella, Pulcinella, Arlecchino, Colombina, Gianduja e Petacca.
Il suo costume è caratterizzato da pantaloni e casacca in panno verde orlati in rosso, panciotto a fiori, calze a righe orizzontali bianche e rosse, scarpe con fibbia, parrucca con codino all'insù, camicia bianca, un cappello a tricorno verde orlato in rosso.
Come carattere Meneghino è un servitore docile e generoso, ingenuo ma non troppo, al quale non bisogna toccare la sua indipendenza e libertà.
Il suo primo interprete fu l'attore Carlo Maria Maggi (1630-1699) con le commedie I consigli di Meneghino e Il falso filosofo.
Tra gli altri Meneghini sono da ricordare Francesco di Lemme, Girolamo Birago, Antonio Tanzi, Domenico Balestrieri e Giuseppe Moncalvo, che interpretò Meneghino in chiave antiaustriaca, pagando il suo lavoro con la galera.
La moglie di Meneghino è Cecca, detta Cecca di birlinghitt (fronzoli, nastri, guarnizioni) che forniva al marito quanto era necessario per le occasionali clienti.
Cecca è la moglie sorridente e volonterosa, che s’impegna come può per aiutare il marito e che, con fantasia, volontà, sacrificio e spirito imprenditoriale, riesce sempre a far quadrare i conti di casa.
Inoltre Cecca è l'unica fra tutte le maschere a non indossare una maschera, come dimostrazione della sua autenticità e onestà.