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Giorgio Pedone e la scoperta della mafia a Vigevano

  • Paola Montonati

 

pedoneIl 26 novembre del 1983 Domenico Galimini, un camionista vigevanese, scomparve nel nulla dopo essere uscito dalla sua casa di via Ada Negri 11 per recarsi ad un appuntamento.

Solo alle luci dell’alba del giorno dopo la polizia di Vigevano, dopo lunghe ricerche, lo ritrovò cadavere, ucciso a colpi di pistola. Le indagini degli inquirenti si indirizzarono subito sugli esponenti della ‘Ndrangheta, la potente associazione calabrese, che si erano stabiliti da tempo nella provincia pavese, ed in particolare sulla famiglia Pesce di Rosarno.

Infatti fin dagli inizi degli anni Settanta nella provincia pavese si erano insediate ben otto famiglie mafiose, provenienti dalla Sicilia e dalla Calabria, che dominavano nel triangolo tra Pavia, Vigevano e Novara con pestaggi, incendi e pagamenti del pizzo mafioso da parte dei commercianti locali.

E fu proprio il delitto Galimini a portare il vicequestore di Vigevano, Giorgio Pedone, a scoprire che il clan Valle, una delle più potenti famiglie mafiose vigevanesi, aveva deciso di espandersi ai traffici di droga, con anche collusioni con politici locali.

Da quel momento Pedone decise di dedicare tutta le sua vita a cercare di sconfiggere le infiltrazioni mafiose a Vigevano. Non si arrestò davanti a nulla, interrogò decine di testimoni, ottenne la fiducia di commercianti e criminali minori che diventarono preziosi informatori, elaborò organigrammi che descrivevano nei più minimi dettagli i clan di mafia e ‘Ndrangheta più attivi a Vigevano.

Col passar del tempo Pedone divenne sempre più importante, tanto che venne invitato a una serie di vertici che si tenevano a Milano dedicati alla lotta contro la mafia al nord. Per impedire che le sue scoperte non andassero perdute, il commissario scrisse due rapporti che riassumevano indagini e interrogatori sulla mafia vigevanese.

Nel 1986 Pedone e la sua squadra arrestarono a Milano Salvatore di Marco, uno degli mafiosi vigevanesi più importanti, poi condannato all’ergastolo nel maxi processo di Palermo tenuto da Falcone e Borsellino. Anche se ormai era considerato una delle personalità più importanti a livello nazionale per quello che riguardava il problema della mafia al Nord, Pedone non venne mai preso sul serio dai procuratori di Vigevano e Pavia, che addirittura negavano l’esistenza di infiltrazioni mafiose in Lomellina.

Il 14 agosto del 1991, pochi giorni prima del trasferimento a Trieste con la qualifica di primo dirigente, Pedone venne trovato morto in un casolare nella periferia di Vigevano, dove si diceva  venissero tenuti riti satanici. Anche se le indagini condotte dalla Procura vigevanese stabilirono che si trattava di un suicidio, la moglie e le figlie ancora oggi sospettano che il commissario sia stato ucciso, probabilmente su ordine della mafia.

Un anno dopo la morte di Pedone, nel 1992, l’orefice Maria Grazia Totti denunciò il clan Valle per usura, dando inizio ad una lunga serie di indagini che avrebbero portato nel 2012 tutti gli affilati al clan ad essere condannati a varie pene, ponendo fine al loro dominio vigevanese. 

 

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