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Fabbricare ombrelli e cesti nella Lomellina dell’Ottocento

  • Paola Montonati

ombrelli 1“Fica da lovi d’asfi e vegn a truam in la mè cruja al Bull dal Geng che mi a go da ficat ad rus – c mager cun tant incalamon. Al Bull dal Geng a gha stanscià ad gnufel tamagn e con la bèrgna e da trincà a sbuja ancura pusè mager. A ghà stanscià na santusa magera e una zurla mager. Ti vigarè che titgarè prast brisold ravaitand. At po bia al lusciat e-l balse”.

E’ con questa filastrocca in tarusch, il tipico dialetto degli ombrellai del Lago Maggiore, che s’invitavano ragazzi e ragazze a Mede, detto Al pais del risot o Bula dal Geng, a trovare lavoro come setacciaio o ombrellaio nella seconda metà dell’Ottocento.

Infatti, da Arona fino alle pendici del Mottarone, furono moltissimi gli ombrellai e cestai che partirono per lavorare nel cuore della Lomellina, alla ricerca di un buon posto di lavoro e di qualche soldo per tirare avanti.

Dalla valle dell’Erno arrivava dopo la Candelora, un gran numero di persone che, con gli attrezzi del mestiere e i poveri abiti, lavoravano a ombrelli che avevano la capacità di proteggere uomini e donne dai lunghi acquazzoni primaverili e dai temporali estivi.

Invece i cavagnè lavoravano a cesti di varie misure e grandezze che servivano per trasportare la merce al mercato oppure per il raccolto delle calde giornate estive.

Tra i cestai medesi ci furono i Guella, i Prini e i Colonetti, che dal Lago Maggiore arrivarono a Mede, mentre a Mortara fu Giovanni Garippo con il figlio Paolo a farsi un nome con il suo negozio di parasole e ombrelli, come lo furono a Vigevano i Petrini, esperti anche in bauli e gabbie per uccelli.

Le tecniche per fabbricare un ombrello erano molto complesse, ma tutte partivano da un piantino in faggio o robinia che comprendeva anche il manico, poi si passava alla montatura inglese, con il manico staccato, fino al Tampus con il puntalone riportato e le aste in ferro con puntale in un unico pezzo.

I manici erano in legni pregiatissimi, che andavano dal legno di ciliegia fino al più raffinato oro, usato solo nei negozi di Torino, vera capitale del mondo degli ombrelli.

Era semplice, una volta scelto il manico, le aste e la seta giusta, montare un ombrello, e per farlo si usavano solo una barsella portombrelli con gli arnesi del mestiere, un bancone e la Maga, una stufa speciale per il pasto di mezzogiorno.

Negli anni Venti in Lomellina fare ombrelli era un’istituzione, ma dopo la Grande Depressione e l’arrivo della produzione industriale quest’affascinante mestiere cadde in declino, fino a scomparire dopo la seconda guerra mondiale e a sopravvivere solo nei ricordi degli anziani lomellini. 

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