Il Pavese tra le due guerre: I bachi da seta
Nel Pavese, e in particolare nella Lomellina, fino alla fine degli anni Trenta i contadini erano esperti, oltre che nella coltura del riso e del grano, anche nell’allevamento dei bachi da seta….
Il baco da seta veniva allevato dalle famiglie contadine, che coltivavano il gelso, pianta originaria dell’Asia ma anche diffusa allo stato naturale in Africa e in Nordamerica, con alberi o arbusti di taglia media, mentre le foglie sono caduche, alterne, di forma ovale o a base cordata con margine dentato.
Il gelso bianco, originario dell’Asia centrale e orientale, venne importato in Europa con il baco da seta in quanto quest’ultimo è ghiotto delle sue foglie mentre quello nero, originario dell’Asia Minore e Iran, fu introdotto in Europa nel Cinquecento, ha foglie più piccole del gelso bianco e produce frutti nero-violacei saporiti.
Le fasi del complesso lavoro dell’allevamento del baco da seta iniziavano in genere nella seconda metà di aprile con l’acquisto delle uova, poi conservate nel tepore domestico in attesa della loro schiusa, che richiedeva una temperatura superiore ai 15°C ed un locale ben arieggiato, come la stalla, dove le uovaeran o poste in un cestello appeso al soffitto e coperto con tela per proteggerle dagli insetti.
La schiusa avveniva dopo circa 18 giorni ed i bacolini, che potevano essere grigi, nerastri o striati, venivano posti su graticci, tavole o arelle con il telaio di legno ed il fondo di cannucce, fil di ferro o tavole in legno o in vimini, ed alimentati con foglie di gelso spezzettate.
Nei primi giorni, il lavoro si limitava alla raccolta ed alla frantumazione di una quantità di foglie di gelso ben asciutte, fresche e pulite ed alla sostituzione, almeno ogni 48 ore, dei fogli di carta che raccoglievano gli escrementi sopra i graticci ma, più i bachi crescevano, più aumentava il loro appetito e si faceva pressante il lavoro per accudirli.
Lo sviluppo di bachi non era uniforme poiché presentava quattro mute, cioè quelle fasi in cui perdevano la cuticola esterna sostituita da una più capiente.
Negli ultimi dieci giorni del ciclo il lavoro era intensissimo, complicato da eventi imprevisti, quali improvvisi sbalzi di temperatura causati da maltempo e malattie, il più delle volte gravi o mortali, che potevano compromettere il buon esito dell’allevamento.
Con l’ultimo periodo di sviluppo le larve del baco mangiavano con grande ingordigia e intorno al 30° giorno cessavano di alimentarsi, poi iniziavano un movimento oscillante del capo rivelando che era giunto il momento in cui si apprestavano a filare il bozzolo.
A questo punto, la famiglia allestiva il bosco , composto da rametti di fascina variamente intrecciati, e lo collocava nei granai o in soffitte appositamente oscurate per creare l’ambiente ideale, dove speravano in un abbondante raccolto.
Così i bachi cominciavano a filare il bozzolo nel quale si avvolgevano, trasformandosi prima in crisalide e poi in farfalla.
Il baco produceva la seta in due ghiandole collocate parallele all’interno del corpo e, se la metamorfosi arrivava a termine e il bruco si trasformava in falena, l’insetto adulto usciva dal bozzolo forandolo, utilizzando un liquido e le zampe, rendendo il filo di seta che lo componeva inutilizzabile, così gli allevatori gettavano i bozzoli in acqua bollente per uccidere l’insetto prima che ciò avveniva o il bozzolo veniva asciugato in appositi essiccatoi per essere filato successivamente.
L’immersione in acqua bollente permetteva il dipanamento del filo di seta sciogliendo parzialmente lo strato di sericina che avvolgeva il filo di seta.
In seguito i bozzoli venivano venduti a opifici che provvedevano alla filatura e in alternativa, questa attività era in casa dove i bozzoli, nell’ acqua bollente delle bacinelle, erano liberati a mani nude dalla sericina, che incrostava il filo di seta, poi districato ed avvolto sugli aspi per formare una matassa.