Il cortile delle magnolie all’Università di Pavia
Circondato da eleganti piante di magnolia, il cortile delle magnolie dell’Università di Pavia fa parte di una sequenza di quattro cortili allineati con ingressi distinti lungo il fianco occidentale di strada Nuova.
Il lato sud del complesso è chiuso dal doppio cortile, diviso da un passaggio coperto, costruito (1820-21) nell’area in cui sorgeva il monastero del Leano.
La parte quattrocentesca dell’Università, fino al 1932 sede dell’ospedale San Matteo, è adiacente ai primi due cortili del Piermarini e, accedendovi dal cortile Teresiano, aperto su piazza Leonardo da Vinci, il nucleo architettonico quattrocentesco è quello di sinistra, disposto a forma di croce inscritta in un quadrato entro il quale si aprono quattro chiostri: quello di sud-ovest, detto Sforzesco, conserva parte dei decori in cotto.
Originaria è anche la copertura a travature lignee nei locali del braccio sud che ospitavano la Biblioteca di storia dell’arte, affacciata sul cortile delle Magnolie.
Ugo Foscolo a Pavia
In quella parte dell’edificio Ugo Foscolo fu professore di eloquenza nell’Ateneo pavese e lesse il 22 gennaio 1809 la famosa prolusione Dell’origine e dell’ufficio della Letteratura nell’Aula ora a lui dedicata, che allora era l’Aula Magna.
Una targa posta nel principale ingresso dell’Università, accanto allo scalone d’onore ricorda la sua magnifica presenza nella città ottocentesca.
Nel cortile delle Magnolie è collocato, in ricordo del poeta, il cenotafio creato da uno scultore pavese che concorse alla realizzazione del monumento sepolcrale per contenere le spoglie del grande poeta.
Tre anni prima, nel 1806 e in soli tre mesi, Foscolo scrisse il carme Dei Sepolcri, da una disputa che egli ebbe con Ippolito Pindemonte, in uno dei salotti veneziani, intorno al problema delle sepolture e quindi della collocazione dei cimiteri.
In quegli anni venne estesa all’Italia sia la legislatura francese dell'Editto di Saint- Cloud del 1804, che quella austriaca, che imponevano che le sepolture dei defunti fossero poste fuori dell’abitato, vietando monumenti e lapidi con iscrizioni.
Pindemonte, cattolico, espresse il suo parere lamentando che tale decisione avrebbe cancellato il culto dei defunti, mentre Foscolo lo aveva contraddetto.
Nacque così il poema della morte e della vita, basato sul contrasto tra l’inevitabile morte, il nulla eterno, l’inutilità delle tombe ai morti e l’inno alla vita, alla bellezza della natura, alle gioie dell’amore e alla dolcezza delle illusioni, esprimendo l’ansia di eternità e il desiderio di opporre alla trasformazione di tutto ciò che è materiale i valori che rimangano nel tempo e che diano un senso alla vita.
Le tombe mantengono vivo il ricordo dei cari estinti e ne garantiscono l’immortalità, stabilendo quindi quella corrispondenza d’amorosi sensi che il Foscolo vedeva come la forza che sta nell’animo umano e che crea continuamente affetti, ideali di verità, giustizia, bellezza, patria che concorrono a formare il fondamento di ogni civiltà.