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Il Ticino sotto la dominazione austriaca

  • Paola Montonati

pavia ticino risorgimento 1Anche il Ticino e la provincia di Pavia hanno avuto un ruolo importante nella storia del Risorgimento Italiano.

Dopo la battaglia di Tornavento del 1636, avvenuta durante la Guerra dei trent’anni, il Ticino divenne il confine naturale tra il Piemonte, ormai sabaudo, e la provincia spagnola della Lombardia, anche se alcuni possedimenti spagnoli erano oltre la sponda occidentale del fiume, come Vigevano e la Lomellina.

La situazione venne definitivamente consolidata con i trattati di Utrecht, di Worms e per ultimo di Aquisgrana del 1748, che portarono il Ticino, così come il lago Maggiore, per l’intera lunghezza a essere diviso tra il regno sardo e l’impero austriaco.

Il Ticino continuò per molto tempo a essere il simbolo della divisione tra l’Italia libera, che era il Piemonte sabaudo, e quella oppressa dalla dominazione straniera, rappresentata dal Lombardo-Veneto.

A partire dagli anni Venti del XIX secolo la storia del Ticino e delle sue acque si snodò congiuntamente alle vicende risorgimentali, di cui fu un testimone fedele e silenzioso.

Con la vigilia della guerra del 1859, Pavia divenne una delle provincie più ricche d’idee patriottiche e le acque del Ticino, che separavano il Piemonte dal Lombardo Veneto, venivano solcate ogni notte dalle imbarcazioni che trasportavano sulla sponda piemontese i ricercati dalla polizia austriaca.

Tutti i boschi e i campi posti lungo il Gravellone, il Ticino e il Po furono pattugliati da colonne di soldati austriaci e da poliziotti in borghese alla ricerca del nemico.

In questo incessante via vai di pattuglie, di gendarmi, di poliziotti, di facce sospette, molti coraggiosi patrioti traghettavano i profughi sulla riva piemontese, spesso rischiando la loro stessa vita.

I traghetti, cui si rivolgevano i fuggiaschi, si trovano vicino alla cascina Francana, poco più a valle di Pavia, in quel tratto dove il Ticino confina direttamente con il Piemonte.

Alla cascina Francana i patrioti avevano un alleato in Luigi Germani, proprietario della vicina cascina San Lazzaro.

Nel cuore della notte chi era braccato dai gendarmi austriaci arrivava a San Lazzaro da ogni provincia della Lombardia e Luigi Germani li ospitava in gran segreto, fino a quando giungeva il momento propizio per compiere il pericoloso attraversamento del fiume.

Infatti, non appena la riva austriaca del Ticino era libera dalle sentinelle, una catena di contadini si passava un segnale prestabilito, che di giorno era alzare il badile, di notte il passaggio di una lanterna secondo un ordine ricevuto da Germani.

Arrivato il momento, gli ospiti della cascina scendevano rapidamente il sentiero che da San Lazzaro conduceva alla Francana e qui trovavano appena arrivata la barca della salvezza.

Tra i più coraggiosi barcaioli ci fu Pietro Rizzini detto “Battafiacca” che, al contrario del soprannome, anche se era un uomo dall’aspetto piuttosto semplice e dimesso, era alquanto coraggioso e determinato.

Senza titubanza e sicuro di ciò che faceva, Rizzini accettava ogni missione, che era sempre la più difficile e la più delicata, e quando il coraggio non bastava per condurla a termine, ricorreva all’astuzia per aiutare i suoi protetti, che alla fine arrivavano sani e salvi sulle rive piemontesi del Ticino. 

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